Un giorno, all'ocaio veneto...

Un giorno, all'ocaio veneto... Potrebbe iniziare così un romanzo poetico sulla laguna di Caorle. E lasciamo dunque che inizi proprio così, d'altronde non potrebbe essere apertura migliore. Di fatto, quella che ho trascorso venerdì scorso a Caorle è stata una giornata tragicomicamente poetica. Una di quelle che ricordi non solo per qualche episodio aneddotico, ma per l'incipit, per la scoperta, per le disavventure, per l'apoteosi finale. Ma direi che iniziamo dal principio...

Da qualche settimana (o meglio dire, mese) nei dintorni di Caorle si sta perpetrando una congiuntura che per chi ama Natura e osservazione della stessa sono ai vertici dei desideri. Ogni anno infatti, scendono dalla tundra artica e dalle remote lande dell'est Europa una quantità inusitata di Anatidi e Anseriformi, che trovano in queste latitudini una miglior dimora per i gelidi mesi tardo-autunnali e invernali. Anche in questo tediato anno, tale fatto si è ripetuto, e in una giornata di tranquillità ho deciso di essere anch'io testimone. Un'ora e quaranta mi separano da tale Eden, dopotutto. 

La sveglia alle 4 antimeridiane, colazione al volo, ultimi accessori da preparare, e si parte. Sembra meno freddo delle previsioni, che proclamavano nefaste temperature artiche (ma il poco ghiaccio sul parabrezza testimonia l'inefficacia di tali favelle).

Il viaggio prosegue sulle note dei Mumford & Sons, col mandolino a tessere esotiche trame. L'arrivo nei dintorni della destinazione si colora di un piccolo inconveniente, la tecnologia fallisce nella sua presunta infallibilità. Mi ritrovo disperso ai piedi di un argine di un non definito canale, in mezzo a campi e campi, nel buio appena squarciato dalle prime sfumature arancio-violacee dell'alba. Si torna indietro, e alle 7.18 mi ritrovo davanti alla terra di Madian, ma la tappa imprevista mi porta con un ritardo di una ventina di minuti. E infatti il cielo già è tappezzato di stormi di Oche in uscita dalle Valli da pesca dove hanno trascorso la notte. Fiumi e fiumi di oche, in pochi minuti oltre 3500 sagome scure nel cielo, con l'auto ferma in mezzo alla strada bianca che si incunea tra i vari fondi coltivati.
Raggiungo l'originario punto di partenza del programma, per assistere ad ulteriori voli in formazione più o meno disordinata. Un filo di rammarico per la mancata puntualità, però, affoga a più riprese nello stupeficium che mi trovo davanti agli occhi. Una cosa che non c'è parola atta a descriverlo nella sua interezza, né probabilmente foto che possa manifestare agli occhi del lettore simile incanto. Ad ogni modo, ci provo.

L'arrivo a Caorle si apre con questa immagine

Luce ve n'è poca, qualche sperimentazione coi tempi lunghi "forzati"




La gran maggioranza, direi la quasi totalità delle alate creature è costituita da Oche lombardelle (Anser albifrons, dalla zona bianca che possiedono alla base superiore del becco fin sulla fronte), ma alcune Oche selvatiche (Anser anser), o anche Oche grigie, come in altri idiomi sono chiamate, fanno capolino.

Quattro Oche selvatiche tra le lombardelle







Una presenza ormai comune nel nord Italia, ma la cui presenza non è spontanea ma indotta dall'avidità e incuria umane, si aggira nella fioca luce blu poco prima che sorga il sole. La nutria (Myocastor coypus), roditore di origini sudamericane, ben adattatosi al nostro ambiente, vive in tane scavate nei pressi degli argini dei canali, e si nutre di alghe e germogli di vegetali come le Cannucce o le Ninfee. Scavano tunnel nel terreno e negli argini, e questo, in alcuni casi, in combinazione con determinate pratiche di gestione, causa danni al sistema idrico-fluviale (ma non è certo colpa sua, è la sua natura).

Nutria su rivolo d'acqua ghiacciato

Alba

Il sole sorge sopra l'orizzonte. Il prossimo passo è da compiersi rapidamente: individuato un consistente gruppo di Oche in volo, si segue con lo sguardo la direzione, e si cerca di seguirli, ovviamente per via terrestre, con tutti i limiti e vincoli che ciò comporta, tentando di intuire dove decideranno di posarsi per alimentarsi. Molto più facile a dirsi che a farsi, contando che essendo zona lagunare, sono più i fossi, i canali, le infinite distese di fondi chiusi che le strade percorribili. 

Una Poiana ci guarda dall'alto del suo tetto di coppi. Forse ride perché siamo arrivati tardi. Noi la lasciamo fare, quel gruppo di centotrenta oche sta perdendo quota, forse ci siamo.


La Poiana se la ride




Parcheggio l'auto lungo l'argine, dove una piccola piana conduce ad una strada bianca di servizio per gli agricoltori, ma vedo in fretta che non è il punto migliore dove fermarsi, le Oche sembrano scendere a oltre 700 metri di distanza, e la strada scende a livello campi, per cui impossibile riuscire a discernere le specie, anche col cannocchiale da 60 ingrandimenti, le Oche sarebbero tutte sovrapposte l'una all'altra. Meglio cercare un punto di vista sopraelevato. Una rapida carrellata mostra che l'argine in realtà prosegue, affiancando i campi dove le Anser sono posate. Riprendo l'auto e raggiungo il termine della parte carrabile dell'argine, da dove prosegue la via ciclabile sterrata. Raccolgo binocolo, cannocchiale, gentilmente prestatomi da un amico che non ha potuto venire, e macchina fotografica, dimenticando una cosa fondamentale...

Venti minuti di scarpinata, verso un punto sufficientemente vicino. Caspita, un gruppo si alza da oltre il canale, sulla destra, non visto per colpa del canneto, e si dirige verso le compagne d'inverno. Un altro gruppo più prossimo si invola quando ancora 300 metri ci separano, e si aggrega alla massa. Decido di fermarmi lì, non troppo avanti, meglio dare uno sguardo, chissà che non ci siano proprio quelle celebrità per cui decine e decine di birder già sono venuti più e più volte.
 
L'Oca lombardella (Anser albifrons) è una specie dell'Ordine degli Anseriformes che nidifica a nord del 60° parallelo (nel Paleartico, occupa un areale che dalla Penisola di Kanin copre sostanzialmente tutta la Siberia) e in autunno migra verso sud, dove il gelo è meno pungente. Una parte si dirige a Ovest (raggiungendo l'Europa nord-occidentale), una parte si ferma sulle coste sudoccidentali del Mar Nero, un altro contingente raggiunge l'Europa centro-orientale, in particolar modo la penisola balcanica e l'area che da Trieste, passando per la Laguna veneta, tocca il Delta del Po e le Valli romagnole.
Specie tipica della tundra, di zone spoglie e aperte, come i campi coltivati o paludi poco profonde. Si nutre esclusivamente di specie vegetali (germogli, radici, tuberi, foglie, semi di cereali). Il suo movimento a terra è ondeggiante, mentre in volo è dritto e potente, spesso in formazione a V o in linea obliqua. In periodo non riproduttivo è specie gregaria, e si può trovare in compagnia di altre specie di Oca, come la granaiola. 


Il primo VIP si fa vedere quasi subito, forse perché anche il più vistoso, si fa per dire, tra seimila Oche lombardelle a quattro-cinquecento metri a sessanta ingrandimenti, non è mai una passeggiata...




Oca facciabianca (Branta leucopsis, dal greco leukós che significa bianco), mi guarda, la guardo, mi guarda. Non sembra agitata, ma sul chi va là sicuramente. 
 
L'Oca facciabianca (Branta leucopsis) è specie nidificante nel nord Europa, che sverna tipicamente in due diversi areali, il primo nell'arcipelago britannico, il secondo nei Paesi Bassi. Alcuni individui accidentalmente compaiono anche nel centro-sud Europa durante l'inverno. Ama ambienti paludosi, collinari e rocciosi come le isole del Mar Baltico, soprattutto in periodo riproduttivo. Si alimenta di semi, graminacee e leguminose in primis, spesso di notte. E' gregaria come tutte le oche del genere Branta.
 
Dopo un'ora e mezza di ricerca, saltano fuori anche le altre signore famose, sono 2, poi 3, ma no, c'è anche la quarta. Bene, la combriccola è al completo, le altre due sembrano non girare assieme a queste, probabile che provengano da luoghi diversi (ne sono state avvistate sei, ma due generalmente per conto suo). Oca collorosso (Branta ruficollis, da rufus in latino che significa rosso, fulvo, e collus, collo), una specie nota già ai tempi degli Egizi. Nidifica nell'Artico, ma probabilmente tutta la popolazione mondiale sverna sulle coste occidentali del Mar Nero. Ovviamente, essendo uccelli, le ali li fanno volare, e non è detto che non volino di tanto in tanto anche altrove, magari seguendo consistenti stormi di altre Anser o Branta, oppure a causa di avverse condizioni meteorologiche. Sta di fatto che negli ultimi anni alcuni individui si presentano regolarmente nel nord Italia (che siano sempre gli stessi, non azzardo a dirlo di certo).
 
 
L'Oca collorosso (Branta ruficollis), nota fin dall'antichità, è specie che come l'Oca lombardella nidifica nella Siberia artica, nelle vicinanze dei nidi di rapaci come il Falco pellegrino, sinergia che aiuta nell'evitare predazioni da parte di mammiferi come la Volpe artica per esempio, e sverna nella zona del Mar Nero, ma di recente sempre più individui scelgono zone più orientali, come gli individui che troviamo da qualche anno con regolarità attorno a Caorle. Come per le lombardelle, la cova è condotta dalla femmina, mentre il maschio si occupa di vigilare sul nido.
L'alimentazione è basata su vegetali, acquatici e non, e in aggiunta in piccola percentuale da molluschi, vermi e piccoli pesci. Di dimensioni inferiori alle lombardelle e anche all'Oca colombaccio, è una specie in declino numerico, per cui gode di un certo grado di protezione da parte dello IUCN.



La foto è penosa, sufficiente ad attestare l'avvenuto incontro. Entrambe le specie sono una prima volta per me, per cui gioisco in segreto, anche se non ho coronato l'incontro con immagini buone.



Continui arrivi in planata arricchiscono il già folto cumulo di penne piume e becchi che decora un verde campo germogliato. Nel mentre, mi accorgo che ho dimenticato l'acqua in macchina. E il telefono mi abbandona, batteria a zero, forse il freddo? Accidenti, mezzora persa... devo per forza tornare, mi sto coordinando con altri amici birder, e senza telefono non posso condividere la posizione esatta. Lascio il cannocchiale in posizione, una corsetta mi fa pentire quasi istantaneamente dell'idea... arrivo al'auto che rischio un collasso. Trovo un amico e un suo conoscente, appena parcheggiato di fianco alla mia supercar, e dopo aver raccolto le vivande e il pacco batteria USB, ci rechiamo di nuovo verso il mio punto di osservazione, e decidiamo dopo un paio di osservazioni di sicurezza, di rischiare e avanzare qualche altro metro. 

Ritroviamo subito la facciabianca, e dopo poco anche le collorosso, che sembrano volersi defilare sulla sinistra.


Oche collorosso

La foto è appena migliore della precedente, ma ci accontentiamo. In contatto con altri osservatori più a nord, scopriamo che da loro sono presenti tre Oche granaiole, che ad un certo punto sono volate verso la nostra direzione. Ma la ricerca, ennesima, snervante, su seimila oche posate non dà frutto, non riusciamo a vederle. Altri amici, su indicazione nostra, con un gruppo proveniente nientemeno che da Ivrea appositamente, arrivano a vedere le collorosso, ma per timore di farle spaventare, si fermano da lontano, riuscendo per fortuna a vederle. Lifer in extremis anche per loro.

Alcune oche passano in volo, altre si alzano e si aggregano a queste.


Forse non rende la distanza dalle oche, ma il cielo punteggiato di esseri volanti forse si



Ed ecco che arriva il guastafeste, anzi i guastafeste. Prima un Falco di palude (Circus aeruginosus) fa spostare almeno 600 oche, poi una Poiana (Buteo buteo), ma vediamo che non è sola. Un Falco pellegrino (Falco peregrinus) ha deciso di puntarla, e romperle le scatole. Povera Buteo, sono sempre così pacifiche, e così subiscono spesso le cattiverie di Corvidi e altri rapaci. Per fortuna godono di quell'aplomb che le fanno (quasi) sempre uscire con eleganza, non sembrano crucciarsi più di tanto.
Il pellegrino, dopo aver lasciato la Poiana, se ne va. Ma ne appare un secondo, questa volta un adulto, che sente il desiderio di giocare un po' con le oche, e infatti il suo excursus a bassa quota decreta la fine della mattinata, tutto lo stormo si alza e punta verso ovest, in direzione delle Valli, dove rientreranno per uscirne nel pomeriggio.


Falco pellegrino (Falco peregrinus) e Poiana (Buteo buteo)

Falco pellegrino in volo, sopra un gruppo di Oche che ha fatto involare lui stesso


Gli istanti seguenti sono poesia, per gli occhi, per la mente, per il cuore. Un vorticare continuo, sinuoso, fluttuante di volatili. Sullo sfondo, le Dolomiti Friulane innevate. Più a Ovest, i monti del Cansiglio e le Dolomiti Bellunesi. 

Oche lombardelle (Anser albifrons) in virata



Gruppo passato vicino di Oche lombardelle


Oche lombardelle (Anser albifrons)

Oche lombardelle con 3 Oche collorosso (Branta ruficollis)

Immaginatevi di cercare le oche posate in un panorama che si ripete come questo per chilometri e chilometri...


E' mezzogiorno e mezzo, decido di spostarmi a ore sei, verso Valle Vecchia. Una visita al primo dei ripristini. Qui niente ocame, si parla di Anatidi. I limicoli latitano, perché l'invaso è completamente pieno, regolato artificialmente da mano uman, ben al di sopra dello standard, per cui non c'è fango poco profondo disponibile per loro. Peccato, vabbè andrò in spiaggia lato Bibione, dove c'è l'altro paradiso. 


Ibis sacro (Threskiornis aethiopicus), nei campi della Brussa

Anatidi, con oltre 200 Morette (Aythya fuligula), Moriglioni, Alzavole, Germani, Fischioni 

Moriglione ♀ si tuffa (Aythya ferina)

Un bel Falco di palude ci passa quasi sopra, a poche decine di metri di altezza. Si accorge di me, gli avrò fatto impressione, ha cambiato direzione... Eppure non ti ho fatto niente!


Falco di palude ♂ (Circus aeruginosus)

Falco di palude ♂ con Gabbiano comune (Chroicocephalus ridibundus)

Poiane con Falco di palude

Poiana (Buteo buteo)

Incontro l'amico Luca, che mi sconsiglia di andare sul litorale, troppe auto al parcheggio significano troppa gente, e troppa gente uguale niente limicoli. Uffa... Mi suggerisce di provare sull'argine, stando attento a lasciare la macchina prima di impantanarmi. Nel mentre arriva anche un altro amico, e decidiamo di spostarci sempre lato laguna, sull'argine, ma più a nord. Tutti posti per me ignoti, se non sulle cartine geografiche.

Ci inoltriamo in questa strada bianca, sembra tutto nella norma, il percorso è asciutto e solido, oltrepassiamo alcune case, la strada si fa più agreste, c'è del fango, ma si va. Malsana idea, arriviamo fino in fondo. L'amico passa con la sua auto, io mi sono fermato prima, vedo che si gira, OK andiamo. Zac! La sua auto si pianta nel prato. Esito quel secondo che mi fu fatale, rimango "galleggiante" nel limo profondo. Disperazione. Decine di chiamate ai suoi amici, nessuno ci può venire in aiuto. Non rimane che chiedere al signore della prima casa sulla strada principale se può venire col trattore. Ma nessuno ha il suo numero. L'unica soluzione è tornare a piedi a ritroso per tutta la via... decidiamo di lasciare le auto in loco ed esplorare l'argine. Ormai il danno è fatto, ora più ora meno non cambierà il destino degli infangati :)
 
Cormorani (Phalacrocorax carbo)
 

La marea sta scendendo, dovremmo vedere affiorare qualche limicolo. Invece niente, sembra una punizione divina, non si vede volare una mosca, a parte un centinaio di Cormorani, qualche Pantana, alcune Pispole e Spioncelli, poi una dozzina scarsa di Chiurli maggiori, qualche Falco di palude. Più che laguna, sembra deserto... 


Totano moro (Tringa erythropus)

Chiurli maggiori (Numenius arquata)

Gheppio (Falco tinnunculus)

Garzetta (Egretta garzetta)

Falco di palude (Circus aeruginosus)


Airone cenerino (Ardea cinerea)

Pantana (Tringa nebularia)



Bello rimane il passeggiare all'aria aperta, pura, rilassante. A quello non può nuocere nulla, oggi. 

E' il momento di tornare indietro. Riproviamo con il metodo spinta, ma non funziona. Ci rassegniamo, partiamo alla volta della provinciale. Un dubbio, che una delle prime case possa avere qualcosa per risparmiarci un chilometro e mezzo a piedi, e scopriamo che lì hanno non uno, non due, ma ben 4 trattori, forse non tutto è perduto (e faticoso) come previsto...

Il gentilissimo signore acconsente a tentare il recupero. Mentre torniamo verso le auto, attendendo il suo arrivo col mezzo agricolo, un richiamo inconfondibile ci porta a scrutare l'orizzonte a nord. GRU!! In atterraggio in un campo qualche centinaia di metri abbondanti più in là. La novella ci porta immediatamente in uno stato d'animo completamente diverso, come se nulla di quello che era successo nelle ultime 3 ore avesse alcun valore. Basta veramente poco a noi birder per essere felici!

Il recupero delle auto ci porta via mezzora abbondante, tutto considerato. Fortuna che non ci fanno pagare il fango un tanto al chilo, altrimenti con quello che ci siamo portati via incollato alle auto la giornata avrebbe avuto un gusto... salato!

Decidiamo, dopo aver ringraziato il signore del trattore, di tentare di localizzare dove le Gru (Grus grus) si siano posate. Il primo tentativo si rivela quello giusto, eccole lì. Nove, si stanno alimentando in un campo. Non scendiamo dall'auto, ma non basta, dopo pochi istanti si involano e si spostano nel campo contro l'argine. La luce buona se n'è andata da un po', almeno mezzora, quella che ci siamo giocati col fango. Però probabilmente senza fango non avremmo incontrato le Gru a terra. 

Gru (Grus grus) posate. Emozione indefinibile...

Si alzano in volo



Il gruppo di Gru al completo



Un saluto, un accordo per trovarci qualche altra volta, e ritorno a casa.

Che giornata, e che finale! Dimenticando la parte centrale, ininfluente.
 
 
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Commenti

Valerio Brustia ha detto…
Spettacolo!
Vedo che da te le gru si fanno "vedere" a terra a distanza meno ch siderale. Qui da me non ci si può neanche provare.

Ti mancano solo dei primissimi piani, durissimi da realizzare in uno scenario degno di un campionato snooker (biliardo). Ma una prova varrebbe la pena farla, almeno una....

Avere il tempo. Mi sa che anche tu sei messo mica troppo bene: benvenuto nel club!
Buon anno Leo e un augurio di tanti tanti giorni da spendere in queste cose

Ciao

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